Frontiere

Festival 2019

Confini e frontiere sono, nel discorso pubblico e nel vissuto dei corpi di chi è protagonista di progetti migratori, il tema nodale su cui si confrontano e si scontrano idee di società e di umanità profondamente diverse, al netto della propaganda e del senso di precarietà che attraversa le società contemporanee in tutto il mondo.
E’ diventato evidente che oggigiorno è il controllo della mobilità delle persone il vero tema politico-legislativo e, prima ancora, etico su cui si scontrano diverse visioni di mondo, e in esse la frontiera non è piu solo quella esterna e geopolitica, ma sempre più si configura come frontiera culturale che si costruisce nell’incontro tra persone, e frontiera biometrica all’interno dei centri di accoglienza e non solo, ovvero frontiera che passa attraverso il controllo dei corpi.

Il “regime della frontiera” supera dunque la dimensione geografica e si diffonde negli interstizi della vita quotidiana anche attraverso un vocabolario concettuale che ne proietta la presenza all’interno delle rappresentazioni collettive, inscrivendosi negli spazi relazionali e istituzionali, informando linguaggi e immaginari.

Il tema verrà affrontato con un approccio multidisciplinare e attraverso i linguaggi contemporanei del cinema e delle arti visive, interrogandoci a più livelli su quale sia oggi l’immaginario che accompagna il vissuto di chi prova ad attraversare la frontiera e di chi, al di qua di essa, la vive come l’unico mezzo per sentirsi protetto e sicuro.

In una contemporaneità che si sta sempre più indirizzando verso una “politica di separazione e chiusura, anziché di umanità“ e in cui la sicurezza a cui molti ambiscono si definisce come diritto di esclusione di alcuni soggetti, privati del diritto di muoversi nel mondo con ugual libertà, i linguaggi artistici si interrogano e raccontano il divenire dei confini che da semplicemente geografici si stanno connotando sempre di più in termini razziali e all’interno dei quali il CORPO diventa lo strumento attraverso cui si misura la libertà e la sicurezza dell’individuo e in cui si agisce il controllo.

E all’interno dei nostri spazi urbani questo paradigma del confine si ripropone potentemente attraverso il tentativo di categorizzare uomini e donne in termini di vittime, corpi da soccorrere o su cui generare assistenza, fino a diventare spesso un vero e proprio dispositivo di assoggettamento che incide pesantemente sulla soggettività di chi vive nei centri di accoglienza, per esempio.
Il Festival KA proporrà strumenti e percorsi differenti per provare a rovesciare la prospettiva di lettura della contemporaneità, proprio provando a immaginare, come suggerisce il filosofo camerunense Achille Mbembe, "la prospettiva rovesciata di una differente possibilità", immaginare di superare la dialettica apertura/chiusura con il concetto di rete, di ricchezza di relazioni, costruzione di alleanze, in cui le forme di appartenenza possano essere molteplici e non rigide. L'arte può potentemente fare tutto ciò, o almeno provarci, suggerire nuove modalità per immaginare nuovi e continui attraversamenti (dal macro al micro, tra la dimensione “politica” e la dimensione quotidiana dell’esistenza, tra spazio e corpo, tra maschile e femminile, tra esseri umani e non umani, tra il sacro e il profano ecc) .

La Rete

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